Stefano Corgnati racconta ad ‘Agenzia Nova’ la sua visione futura dell’Ateneo a partire dall’interazione con la società, per dare risposte alle richieste di lavoro, al cambiamento climatico e ad altri temi centrali che riguardano sia il settore pubblico che privato
Attualmente è vicerettore alle Politiche Interne, ma in futuro potrebbe diventare la nuova guida del Politecnico di Torino. Con questo spirito Stefano Corgnati racconta ad ‘Agenzia Nova’ la sua visione futura dell’Ateneo a partire dall’interazione con la società, per dare risposte alle richieste di lavoro, al cambiamento climatico e ad altri temi centrali che riguardano sia il settore pubblico che privato.
Se dovesse fare un bilancio in questi anni da vicerettore, quali sono i risultati raggiunti?
Io ho vissuto l’esperienza per due mandati: con Gilli e con Saracco. Con il primo e in parte con il secondo ho avuto le deleghe alla ricerca, mentre nell’ultima parte di questo mandato mi sono spostato sulla politica interna. Ho visto l’Ateneo in due elementi principali in cui declina i saperi. A partire dalla grande sfida dei centri interdipartimentali. Ritengo che abbiamo avuto la capacità di essere protagonisti dal punto di vista competitivo sulla transizione con un plus, che è stato proprio l’aver colto la necessità di questi spazi interdipartimentali, come ad esempio l’Energy center. Altra sfida importante che abbiamo affrontato, è quella di far diventare l’Ateneo una struttura a supporto del policy making. L’istituzione che come portatrice di valore tecnologico possa essere da supporto per le istituzioni pubbliche e private, per orientarle attraverso un processo basato su dati scientifici che gli permetta di prendere delle decisioni che siano supportate dai numeri. Anche su questo tema stiamo procedendo, individuando quelli che sono i ricercatori più adatti per questo tipo di attività. A questo si aggiunge il più grande investimento infrastrutturale degli ultimi 30 anni.
Lei parla di ambizioni e obiettivi dell’Ateneo in anni che sono stati importanti. Ma i prossimi potrebbero essere altrettanto se non più importanti in termini di sfide. Prima tra tutte quella sul cambiamento climatico. Proprio pochi giorni fa Arpa Piemonte ha mostrato che l’aumento della temperatura è più evidente qui rispetto al resto del pianeta. Come risponde l’Ateneo a livello scientifico?
Oggi il tema dell’energia va ad essere abbracciato in un tema più ampio che è il cambiamento climatico. I colleghi di Ambiente e Territorio hanno tracciato delle linee di didattica innovativa, avendo anche un master specifico sul tema ed essendo diventati un dipartimento di eccellenza delle due edizioni in cui il Ministero ha bandito questa opportunità. Noi viviamo in un contesto territoriale particolare. In un’area che ha delle situazioni morfologiche che la rendono più soggetta ai cambiamenti climatici, si pone una palestra importante per rispondere a queste difficoltà. Occorre una cabina di regia su questi temi, che metta tutti gli attori attorno ad un tavolo. Questo è il momento perfetto per farlo, perché le relazioni sono eccellenti e si sta operando in questa direzione. Ci deve essere un chiaro piano di azione, sapendo che gli effetti avranno bisogno di periodi di implementazione che vedranno un risultato almeno nel medio periodo. Oggi abbiamo un’opportunità unica, quella del Comune di Torino scelto tra le città che dovranno raggiungere la neutralità climatica. E lì ci sono tutte le opportunità di andare a sperimentare e poi generalizzare quelle azioni che ci consentiranno di portare a livello regionale delle pratiche concrete per la riduzione dell’impatto ambientale. Siamo tutti a lavoro per questo. Io ritengo che già alla fine di quest’anno riusciremo a far vedere che le prime azioni porteranno in campo degli strumenti di analisi, monitoraggio e interpretazione del sistema, che ci permetteranno poi di trovare gli scenari risolutivi migliori per questa nostra area territoriale. Sono confidente in questo.
Per quanto riguarda l’aspetto più economico, industriale e di ricerca. Le istituzioni e le università sono in campo per molte iniziative a livello europeo come intelligenza artificiale, automotive e l’autority antiriclaggio. Ci sono tantissime partite che però rischiano di arenarsi e addirittura finire al di fuori, non solo del Piemonte, ma dal nostro Paese. Secondo lei qual’è il problema che mette in difficoltà l’Italia rispetto agli altri paesi?
Io sono vissuto nel campo pubblico, quindi nel campo che tiene in mano le decisioni fondamentali per andare a creare quelle condizioni favorevoli per lo sviluppo di iniziative e investimenti di tipo industriale. Sono piuttosto sereno sulle tempistiche, perché hanno carattere quasi sinusoidale, e di conseguenza il nostro ruolo deve essere invece quello di essere preparati come voce unica nel territorio per permettere a chi vuole investire da noi di avere le condizioni per farlo al meglio. Devo dire che questi ultimi anni mi fanno ben sperare in questo senso. E’ evidente che ci sono gruppi di investitori interessati al nostro territorio, perché abbiamo una densità di capacità di produzione tecnologica alta. In questo momento stiamo cercando di costruire una voce unica di risposta ai soggetti che decidono di mettere casa nel nostro territorio.
Parliamo del futuro dell’Ateneo. Quali saranno le sfide future? Il Politecnico ha già una sua forza. Secondo lei come può arrivare a nuove tappe e obiettivi con certezza, diventando un riferimento ancora più forte a livello Europeo e mondiale?
Cito alcune direzioni. La prima educativo formativa. Il paese ci chiede di formare delle figure tecniche e noi dobbiamo farlo creando le figure che servono nei diversi settori. Chi arriva qui dentro immaginando un futuro di certe discipline, deve essere aperto ad un mercato che va anche in un’altra direzione. Abbiamo un certo disequilibrio tra le aree tecnologiche del nostro Ateneo. Il riequilibrio è un nostro dovere istituzionale. Ci vuole un sistema di evoluzione di didattica che tenga conto dell’evoluzione demografica del nostro sistema Paese. I sistemi che proporremo andranno ad avere un influenza di oltre un decennio. La ricerca deve necessariamente mantenere quel livello di capacità e autorevolezza a livello internazionale. La capacità di trasferire tecnologicamente le ricerche nel nostro territorio in primis, ha un chiaro impatto se noi abbiamo una riconoscibile autorevolezza a livello internazionale. Le due cose sono inscindibilmente legate. L’altro tema è il trasferimento tecnologico. Abbiamo sempre di più nel corso degli anni cercato di lavorare a fianco delle aziende. Dobbiamo individuare le migliori risorse in grado di collaborare con esse. Poi c’è l’ultimo tratto: un Ateneo in grado di dialogare con la società. E’ un tema che tutti oggi ci pongono, ad è giusto che sia così. Riusciremmo ad avere sempre una maggiore capacità di comprensione di come le tecnologie aiuteranno le persone a stare meglio, solo se saremmo i giusti portatori dei messaggi tecnologici. Un Ateneo che apre le porte e dialoga sempre più con l’esterno. Che diventa parte delle riflessioni della società, che si umanizza nei confronti del dialogo con tutti i cittadini. Insomma, un Ateneo per la società e una società in grado di stimolare il nostro Ateneo.