Lesecutore materiale no, ma di sicuro la mente, il mandante. Per la Corte di Cassazione questo il ruolo di Giacomo Bozzoli nella morte dello zio Mario.
Il 39enne imprenditore bresciano, condannato allergastolo, non ha materialmente ucciso lo zio ma certamente ha fatto in modo che l8 ottobre del 2015 fosse lultimo suo giorno di vita. Ucciso e incenerito nella fonderia di famiglia a Marcheno, in Valtrompia. Una responsabilità a titolo di concorso morale: Giacomo, per i giudici, ha ingaggiato Giuseppe Ghirardini, addetto al forno grande dellazienda, morto suicida pochi giorni dopo la scomparsa della vittima; cera anche Oscar Maggi, un altro dipendente, che a febbraio sarà processato per concorso in omicidio. Lui non li ha denunciati, scrivono i giudici, segno che è responsabile quanto loro. E poi la sua presenza, in azienda, ingiustificata: le telecamere lo immortalano entrare e uscire proprio mentre lo zio veniva incenerito. Già, le ceneri dello zio, analizzate dalla procura attraverso il lavoro di Cristina Cattaneo, lanatomopatologa già nota per il caso Yara, non aveva trovato alcun resto umano. Elemento questo poi approfondito con una simulazione: un maialino, già morto, messo in un forno simile a quello dellimpianto di Marcheno. Anche in quelloccasione alcun resto dellanimale, segno che, le altissime temperature della fonderia, non danno scampo. Anche su questo vertono le trenta pagine scritte dalla prima sezione penale della Suprema corte e che mettono la parola fine sulla vicenda giudiziaria. Il primo luglio, la sentenza definitiva allergastolo. Sentenza a cui Giacomo Bozzoli aveva reagito con la fuga. Dieci giorni di latitanza, trascorsi in Spagna, assieme alla moglie e al figlio, e durante i quali non si era preoccupato di nascondersi, eccolo ripreso dalle telecamere: più che un latitante, un turista come tanti. In fuga fino a quando non è stato trovato dai carabinieri nascosto nel cassone del letto in camera, nella sua abitazione a Soiano, sul lago di Garda. Ora è detenuto nel carcere di Bollate. La sua unica speranza: la complicatissima via della revisione del processo.
Il 39enne imprenditore bresciano, condannato allergastolo, non ha materialmente ucciso lo zio ma certamente ha fatto in modo che l8 ottobre del 2015 fosse lultimo suo giorno di vita. Ucciso e incenerito nella fonderia di famiglia a Marcheno, in Valtrompia. Una responsabilità a titolo di concorso morale: Giacomo, per i giudici, ha ingaggiato Giuseppe Ghirardini, addetto al forno grande dellazienda, morto suicida pochi giorni dopo la scomparsa della vittima; cera anche Oscar Maggi, un altro dipendente, che a febbraio sarà processato per concorso in omicidio. Lui non li ha denunciati, scrivono i giudici, segno che è responsabile quanto loro. E poi la sua presenza, in azienda, ingiustificata: le telecamere lo immortalano entrare e uscire proprio mentre lo zio veniva incenerito. Già, le ceneri dello zio, analizzate dalla procura attraverso il lavoro di Cristina Cattaneo, lanatomopatologa già nota per il caso Yara, non aveva trovato alcun resto umano. Elemento questo poi approfondito con una simulazione: un maialino, già morto, messo in un forno simile a quello dellimpianto di Marcheno. Anche in quelloccasione alcun resto dellanimale, segno che, le altissime temperature della fonderia, non danno scampo. Anche su questo vertono le trenta pagine scritte dalla prima sezione penale della Suprema corte e che mettono la parola fine sulla vicenda giudiziaria. Il primo luglio, la sentenza definitiva allergastolo. Sentenza a cui Giacomo Bozzoli aveva reagito con la fuga. Dieci giorni di latitanza, trascorsi in Spagna, assieme alla moglie e al figlio, e durante i quali non si era preoccupato di nascondersi, eccolo ripreso dalle telecamere: più che un latitante, un turista come tanti. In fuga fino a quando non è stato trovato dai carabinieri nascosto nel cassone del letto in camera, nella sua abitazione a Soiano, sul lago di Garda. Ora è detenuto nel carcere di Bollate. La sua unica speranza: la complicatissima via della revisione del processo.