Due, tre ore sotto il tiro delle pistole dei sequestratori mentre Cristina veniva portata via incappucciata. Così Carlo Galli, all’epoca fidanzato con Cristina Mazzotti, ripercorre le fasi di quella notte, tra il 30 giugno e il primo luglio del 1975 quando la ragazza fu rapita e ritrovata cadavere un mese dopo, nonostante il pagamento del riscatto di oltre un miliardo di lire. Nessuna ripresa al volto, Carlo Galli, oggi 70enne, davanti alla Corte d’Assise del tribunale di Como racconta, lui, testimone oculare, nel processo che vede imputate quattro persone: Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia, tutti 70enni, e il boss 80enne Giuseppe Morabito. Sono accusati di sequestro di persona e omicidio aggravato dalla crudeltà, dai motivi abbietti e dalla minorata difesa della vittima. Tenuta per un mese in una buca, nutrita con un panino al giorno, idrata attraverso una cannuccia e sedata per impedirle di fuggire, Cristina fu ritrovata senza vita in una discarica del novarese. Un dramma rivissuto in aula a 49 anni di distanza. Tredici persone sono già state condannate, ora questo nuovo filone riaperto grazie a un’impronta digitale che è stato possibile ricondurre a uno degli imputati attraverso tecnologie all’epoca inesistenti. La prossima udienza il 13 novembre. Il cerchio sulla morte di questa ragazza diventata la prima donna rapita dall’anonima sequestri, a quasi 50 anni dai fatti non si è ancora chiuso.